Muratori e l'idea di Nazione italiana

 

di Fabio Marri

 

Lodovico Antonio Muratori (Vignola 1672- Modena 1750), nel 1695 fu nominato dirigente della Biblioteca Ambrosiana di Milano, dove si aprì alla cultura italiana ed europea moderna.

 

Il suo spirito patriottico, l'orgoglio di essere italiano, lo manifestò fin dal 1697 con le prime opere giovanili, nelle quali pubblicava manoscritti antichi, sepolti in archivi e ignorati dalla cultura italiana del tempo (mentre gli eruditi stranieri scendevano in Italia per trarre profitto dai monumenti e documenti che sembravano destinati alla rovina e alla perdita definitiva).

Dal 1700, richiamato a Modena come direttore dell'archivio e della biblioteca Estense, si orientò verso una riforma della cultura a tutto campo, che portasse l'Italia al livello delle nazioni europee più progredite (suoi modelli furono soprattutto la Francia e la Germania).

Suddito fedele e consigliere dei duchi estensi (del futuro duca Francesco III fu precettore), agì però in maniera che Modena non si chiudesse nel suo piccolo mondo, favorendo i contatti non solo con le piccole capitali vicine (Bologna, Ferrara, Venezia, Milano soprattutto), ma anche col resto dell'Italia e, in una prospettiva che potremmo dire profetica, verso tutta l'Europa. Dal 1708 al 1725 fu l'anima di una grossa battaglia diplomatica condotta dal duca estense Rinaldo I contro lo Stato della Chiesa, per il possesso di Comacchio e di Ferrara, tolte dal papa agli Este nel 1598 con motivazioni che Muratori dimostrò essere pretestuose e illegittime. In questa battaglia, Muratori si trovò alleato con la diplomazia e cultura tedesca, anche protestante: Leibniz, la casa di Hannover (che nel frattempo salì al trono di Inghilterra), e il Sacro Romano Impero. E cominciò a sognare una Italia non frazionata in staterelli, pacificata (e non teatro delle guerre di spartizione che gli stati stranieri combattevano sul nostro suolo), retta da prìncipi italiani (seppur sotto la "protezione" imperiale, come erano gli Estensi), e con una Chiesa che si occupasse solo di fatti spirituali senza interferire con le vicende politiche.

La parola "Italia", coi suoi derivati, è la più frequente nelle pubblicazioni di Muratori: incaricato di scrivere la storia della casa d'Este, intitolò il suo libro (uscito in prima edizione nel 1717) Antichità estensi e italiane. Costretto a una specie di libertà vigilata durante l'occupazione francese di Modena (1702-1707, da cui ricavò una avversione definitiva verso la monarchia francese e il suo antenato, l'impero carolingio), lanciò da Modena proclami per l'unificazione almeno culturale della nostra nazione: nel 1703 lancia l'idea di una "Repubblica letteraria d'Italia", nella quale propone progetti comuni di ricerca storica, di rinnovamento scientifico (secondo il metodo di Galileo e del suo amico Newton, ancora guardati con sospetto dalla Chiesa ufficiale) e di adeguamento alla filosofia, ai metodi di indagine conoscitiva che stavano prendendo piede in Europa (da Cartesio agli empiristi inglesi come Newton e Locke).

Concetti che espone a chiare lettere in un'altra opera importante del 1708, le Riflessioni sopra il buon gusto intorno le scienze e le arti; e che applica in maniera particolare alla lingua e alla letteratura nel libro che avrebbe voluto intitolare La riforma della poesia italiana e che invece uscì nel 1706, poi in edizione accresciuta nel 1724, col titolo di Perfetta poesia italiana. È una difesa della cultura italiana, attaccata specialmente dagli intellettuali francesi che ne biasimavano la frivolezza (e non avevano tutti i torti, pensando agli eccessi del barocco), e giudicavano la lingua italiana troppo artificiosa, inadeguata al pensiero moderno (come invece sarebbe stato il francese, effettivamente divenuto lingua di scambio internazionale). Muratori distingue il cattivo uso che molti scrittori avevano fatto della nostra lingua, dalle sue qualità innate che invece la ponevano sui piani più alti della cultura mondiale (ai cui vertici Muratori metteva, per esempio, un Petrarca); e, rivolgendosi soprattutto al "fronte interno", chiede che la lingua sia sprovincializzata, sottratta all'esclusivo arbitrio della imitazione fiorentina, e diventi effettivamente "italiana", cioè pronta ad accogliere parole, modi di dire, movenze culturali da tutta la nazione.

L'insistenza di Muratori su un patrimonio comune a tutta Italia ha un evidente fondamento patriottico, che ricavava anche da due suoi maestri spirituali modenesi: Castelvetro e Tassoni. Quando nel III libro della Perfetta poesia si sforza di regolamentare la lingua italiana, scrive (risalendo addirittura a Dante) che nemmeno la parlata fiorentina "è quella eccellente che hanno da usar gl'Italiani", mentre è necessario un "commun parlare italiano, uno solo per tutta l'Italia"; "questo dunque si ha necessariamente a studiar da tutti, come comune a tutti gli Italiani". Al che un suo oppositore, Anton M. Salvini dell'accademia della Crusca di Firenze, di fronte a questo uso insistito della parola "Italia" obiettò, con termini accorati che palesavano uno spirito pre-risorgimentale: "non senza rammarico dell'animo mio domanderò: ove è questa Italia? Questa Italia, corpo contenuto da un solo spirito, perciocché sotto un sol dominio non c'è più", soggetta alla "divisione e sminuzzamento in tanti e sì vari dominii e governi". Dunque, nei pensatori di punta della cultura italiana (e Muratori divenne ben presto il più apprezzato), c'era la coscienza di un popolo uno, che poteva aspirare all'unità anche politica.

Questa venne documentata e auspicata dalle opere maggiori di Muratori, quelle storiche che seguirono alle Antichità estensi e italiane, e nelle quali la parola Italia continuò a campeggiare:

i Rerum Italicarum Scriptores, 25 volumi usciti tra il 1723 e il 1738: una raccolta veramente 'mostruosa', immane, di tutte le cronache medievali inedite, città per città, regione per regione, ma con lo sguardo fisso alla reciproca interdipendenza all'interno di un organismo comune, nazionale. Cosa che risulterà ancora più evidente nel capolavoro di Muratori, i sei volumoni delle Antiquitates Italicae Medii Aevi (1738-1742), dove l'Italia tutta intera è trattata come una sola, nelle sue leggi, istituzioni civili (i comuni, le signorie, gli organi ecclesiastici) e soprattutto nella vita della gente comune: gli abiti, i mestieri, le usanze, le superstizioni, i giochi popolari, oggi diremmo il folclore.

Tutto questo era ristretto al Medioevo: ma Muratori, nelle sue opere della tarda maturità, allargò il tiro, pubblicando dal 1744 al 1749 gli Annali d’Italia , che cominciavano dalla nascita di Cristo e si spinsero (a grande richiesta popolare, si direbbe oggi) fino all'età presente, a quella pace di Aquisgrana del 1748 che sembrò l'avvio di una stagione di pace e di prosperità, in un quadro finalmente europeo (nel quale Muratori desiderava si inserisse anche una riunificazione delle chiese cristiane, ponendo fine allo scisma luterano e calvinista, di cui riconobbe lucidamente alcune ragioni negli eccessi della chiesa e della teologia cattolica). Nelle ultime pagine degli Annali Muratori, deviando un attimo dalla fredda cronaca, lamenta che spesso in Italia governino principi esteri (i Borbone, gli Asburgo-Lorena per esempio), e si augura che gli italiani sappiano esprimere dei sovrani cui stiano a cuore le sorti della propria terra (e non, come avrebbe detto Giuseppe Giusti, "messi qui nella vigna a far da pali" per consentire le vendemmie degli stranieri).

Ma Muratori non si limitò a descrivere fatti storici: intervenne anche in questioni di rilevanza politica attuale. Già abbiamo detto del suo ruolo di consigliere dei due duchi di Modena, Rinaldo I e Francesco III: a quest'ultimo, e a tutti i sovrani d'Europa, indirizzò uno dei suoi ultimi capolavori, considerato ancor oggi tra le vette massime del riformismo illuministico italiano: La pubblica felicità, del 1748, nel quale ribadiva come il dovere di un sovrano non fosse quello di accrescere il proprio regno con le guerre, ma di curare la "felicità" dei sudditi (e sappiamo tutti che, trent'anni dopo Muratori, la "ricerca della felicità" venne posta tra i diritti dell'uomo nella Costituzione americana). Questo concetto di felicità era stato mostrato nella sua pratica attuazione dallo stesso Muratori in un'altra opera, del 1742, intitolata Il cristianesimo felice nelle missioni del Paraguai , dove portava a conoscenza dell'Europa (l'opera fu tradotta nelle principali lingue europee) lo stile di vita e l'organizzazione politica, strettamente comunitaria (per non dire "comunista" nel senso etimologico del termine) delle cosiddette "Riduzioni" del Sudamerica, su cui pochi anni fa il film Mission. E quanto all'Italia, nella Pubblica felicità Muratori insistette nel dettaglio sul valore dell’istruzione per tutti, dell’igiene pubblica, della cultura scientifica, delle riforme istituzionali, delle misure di politica economica (ad esempio prestito del denaro ai meno abbienti) da prendersi per migliorare l’agricoltura, a quei tempi il settore economico dominante, e manifatture come quella della seta. Esistono nell'Archivio di Stato e nella Biblioteca Estense manoscritti indirizzati privatamente da Muratori al duca, in cui suggeriva misure anche molto pratiche, come la selciatura delle strade, il riordino delle fogne e dei canali, migliorie ai giardini ducali ecc. In un quadro più "italiano", Muratori si rivolse anche alle autorità religiose, compreso il suo amico papa bolognese Benedetto XIV, per la riduzione delle feste religiose (nelle quali era proibito, ai braccianti e salariati, di lavorare, dunque di guadagnare); e se la prese anche col gioco del lotto e con gli stati "biscazzieri", come Venezia, che lucravano sui vizi della povera gente.

Muratori, laureato in legge, scrisse anche un trattato dal titolo Dei difetti della giurisprudenza (1742), in cui lamentava l'eccessiva durata e il costo delle cause, l'oppressione della povera gente, l'ingordigia degli avvocati e gli arbitrii dei giudici: cose che ritroveremo, cento anni dopo, nelle osservazioni sparse da Manzoni a proposito delle angherie che dovettero subire i promessi sposi dai vari Azzeccagarbugli, signorotti, magistrati milanesi ecc. E il suo allievo Francesco III, anche dopo la morte del Maestro, scelse i suoi ministri (come Domenico Maria Giacobazzi, Giuseppe Maria Bondigli e il loro scolaro Bartolomeo Valdrighi) fra gli allievi del Muratori, e con loro promulgò il Codice di leggi e costituzioni per gli Stati di Sua Altezza Serenissima curato da Valdrighi (1771): uno dei punti più alti raggiunti dal riformismo dell'ancien régime italiano, e utilizzato come modello ancora per gli statuti del secolo successivo, in tutta Italia.

Altre riforme, e provvedimenti pratici, proposti da Muratori e realizzati da Francesco III furono la costruzione, attorno all'odierna piazza S. Agostino, dell’Ospedale Estense (1753-58) e dell'Albergo dei poveri (1764-69), l'apertura al pubblico della Biblioteca Estense (affidata a un continuatore, in certo senso allievo, di Muratori come Girolamo Tiraboschi) e della pinacoteca-palazzo dei Musei, la riforma dell'università, sottratta al controllo ecclesiastico: tutte cose che, dalla fine del Settecento, vennero adottate dai vari sovrani d'Italia, ponendo le premesse per una legislazione, una prassi e una vita comunitaria che sfoceranno nell'unità politica.

Non sarà senza motivo che il Risorgimento, da Manzoni a Carducci (di cui rimase memorabile la visita a Modena e Vignola nel 1872, per il secondo centenario della nascita di Muratori), collocherà il nostro uomo tra i suoi precursori: modenese, ma soprattutto italiano, ed europeo.

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