Il 3 novembre, giornata memorabile sia nel bene (per il convegno di Modena di cui riferiremo altrove) sia nel male per la contemporanea scomparsa di due Soci del Centro, è venuto meno Massimo Marcocchi. Parlare di lui significa, per molti aspetti, parlare di una generazione di studiosi che, all’ombra di padri nobili come Hubert Jedin e altri grandi pensatori, scavò in profondità il concetto di riformismo cattolico a varie latitudini e cronologie. Un concetto discusso e controverso che, come docente di storia del cristianesimo, Marcocchi indagò a più riprese. Nato a Cremona nel 1931, Marcocchi divenne libero docente in Storia del cristianesimo nel 1969. Aveva mosso i suoi primi passi come insegnante all’Università di Pavia, per poi proseguire verso l’Università Cattolica, dove arrivò nel 1980 come professore ordinario. Ritiratosi dagli incarichi didattici nel 2001, la sua attività di studioso non è venuta meno. Cattolico impegnato, ha fatto della storia una chiave di interpretazione della realtà e degli eventi non solo del passato: nei suoi studi è stato infatti capace di coniugare indagini su un’epoca di profonda trasformazione come il Cinquecento con quelli su un altro passaggio cruciale, come il Novecento. Il suo sguardo fu attratto dai vescovi ideali usciti dal concilio di Trento così come da Paolo VI e da altre figure del riformismo contemporaneo, poi confluito nella stagione del Vaticano II. In ambito muratoriano, è da ricordare la sua partecipazione all’Edizione nazionale del Carteggio, con il volume 4, dedicato alla corrispondenza tra Muratori e Francesco Arisi, che cronologicamente, col finito di stampare del febbraio 1975, risulta il secondo volume stampato in assoluto, dopo il 46 Zacagni-Zurlini concluso un mese prima. Doveroso il cordoglio del Centro di studi muratoriani per la perdita di uno studioso di valore e di grande umanità.
Fabio Marri